Caio Giulio CESARE
"Cesare fu il primo grande Imperatore. la sua vita fu consegnata al mito. la sua morte non riuscì a fermare il destino dell'Urbe"
Caio Giulio Cesare non fu formalmente Imperatore di Roma (come sarà per il successore Augusto), ma è comunemente considerato il primo Imperatore dell’Urbe. Con lui Roma entra nella terza fase della sua storia.
Dalla fase monarchica dei sette Re, durata 244 anni, con una media di
35 per ciascun Re, si era passati a quella repubblicana, ormai in atto da
quattro secoli. Con lui inizia la fase imperiale della storia della Città.
Anche la vita di Cesare può essere suddivisa in tre fasi.
La lunga fase iniziale, caratterizzata sia da riprovevoli vicende
personali (quali l’adulterio e l’omosessualità) sia da un’ostinata formazione e
preparazione per gli eventi futuri. Solo a 42 anni, nella fase intermedia della
vita, appare in lui il grande Generale; il conquistatore che sottomette la
Gallia e raggiunge la Britannia attraverso un’estenuante guerra novennale; il
gran condottiero che, in quattro anni di guerra civile, elimina tutti i suoi
avversari. A 55 anni comincerà la breve
fase finale del trionfo. Durerà meno di un anno, ma gli sarà sufficiente per
dare il via a quella a quella soluzione istituzionale che si chiamerà Impero e
che gli sopravviverà per cinque secoli.
Come Napoleone 18 secoli dopo, Cesare era un patrizio diventato
democratico che si batteva per il popolo cercandone l’appoggio. Il nemico del
Còrso era la monarchia incipriata della fine Settecento, il suo nemico fu
l’oligarchia senatoriale egoista e rapace. Ma, a differenza di Napoleone,
Cesare aveva contro anche sentimenti repubblicani tanto radicati e diffusi. E
fu sconfitto solo da questi ultimi!
Entusiasmanti le sue vittorie, non meno cocenti le sue sconfitte. Fu
necessario il trionfo di Alesia per riscattare lo smacco di Gergovia, Farsalo
per annullare Durazzo.
Fu uomo poliedrico con grandi qualità positive e negative. Affascina il
suo genio, l’eleganza, la temerarietà, la clemenza. Ma c’è anche chi vede in
lui l’adultero, l’omosessuale, l’epilettico, il tiranno, l’uomo spietato.
Per tutta la vita aveva operato con gran determinazione e tensione per
piegare gli eventi alla propria volontà. Ma una volta assunta la dittatura
perpetua appare dominato da un certo fatalismo. Presunzione od inconscio
desiderio di vedere esaltata, attraverso le 23 pugnalate finali, una vita da
gigante?
Era nato nel 100 a. C. Singolare coincidenza: con lui si apriva un
nuovo secolo, ma con lui iniziava anche una nuova epoca della storia romana ed
universale.
La sua grande passione era la poesia, ma questo non lo teneva lontano dalle esercitazioni militari. Suo grande maestro fu lo zio Mario, Generale e Console per sei volte, che in quegli anni deteneva il potere a Roma. Attraverso un severo e continuo addestramento rafforzò il suo fisico che appariva troppo delicato e quasi femmineo.
Ebbe quattro mogli (Cossuzia, Cornelia, Pompea e Calpurnia), sposate per la dote o per opportunità politiche.
Alla morte dello zio Mario, nell’86, proprio per questa parentela, fu incluso nelle liste di proscrizione compilate dal dittatore Silla e dovette scappare da Roma. Ma, grazie ad alcuni amici (le raccomandazioni esistevano già allora), Silla lo escluse dalle liste di proscrizione salvandogli la vita. Lo fece esclamando “Sia fatta la vostra volontà ..... tenetevelo pure questo ragazzo. Ve ne pentirete ..... Io vedo molti Marii in un solo Cesare”. Come avrà fatto Silla ad intuire tutto questo in un fanciullo di 14 anni?
La sua fu una giovinezza “chiacchierata”. Come quando fu incaricato di portare al re di Bitinia la richiesta del concorso di una flotta. La missione ebbe esito felice, ma si mormorava, con maldicenza, che ormai lui era diventato “la regina di Bitinia” (sarà questa un’accusa frequentemente formulata nel corso di tutta la sua vita).
Ma vi furono anche episodi da cui emergevano doti di fermezza e di carattere. Come quando, durante un viaggio in mare, fu rapito da una banda di corsari e tenuto in ostaggio due mesi fino al pagamento del riscatto. Dopo il rilascio riuscì a farsi dare una flotta. Improvvisatosi Ammiraglio, ricercò i pirati nei loro covi. Li sorprese, li catturò e li fece impiccare tutti. Aveva appena 22 anni!
Pur essendo di origine patrizia abbracciò la causa dei “populares” ed anche per questo dovette fare tanta “gavetta” per proseguire nella carriera. La scelta politica non poteva essere diversa. Era nato nella Suburra, il quartiere proletario, il “buco nero” della Città splendida, il ghetto ove era racchiusa una plebe povera e fannullona, il luogo d’origine di ogni rivolta popolare. E’ stato accusato di una scelta politica di opportunismo e demagogica. Ma ebbe la coerenza di esservi sempre fedele anche in un periodo in cui i “ribaltoni” non facevano sensazione come oggi.
A 31 anni, raggiunse il primo grado del suo cursus honorum. Fu eletto Questore e destinato alla Spagna Ulteriore. Qui visitò la statua d’Alessandro il Grande a Cadice. Arse di rabbia e scoppiò a piangere. Alla sua stessa età Alessandro aveva esteso il proprio dominio sull’intero mondo orientale. Decise di riguadagnare il tempo perduto. E mantenne l’impegno.
Fu poi Edile ed, a 37 anni, pontefice Massimo, suprema carica vitalizia dell’ambito sacrale.
Nel 61 tornava in Spagna da Propretore, cioè da Governatore con poteri
di Comandante militare. Combatté e sconfisse i popoli delle regioni montuose
della Lusitania e della Galizia, dediti a scorribande e ruberie nella vicina
provincia romana. Lo fece con rapide ed
audaci manovre condotte anche per mare. I Soldati romani percorrevano, per la
prima volta, le acque dell'Atlantico e la notizia entusiasmò l'Urbe.
Stipulata un’alleanza con il Generale Pompeo e con il capitalista
Crasso (intesa nota come il primo triumvirato), divenne Console per l'anno 59
a.C.
Aveva 41 anni e non era trascorso un decennio da quando, davanti alla
statua d’Alessandro a Cadice, aveva deciso di bruciare le tappe della carriera.
Da allora tutti i suoi atti furono rivolti contro l'oligarchia e
tendenti a guadagnarsi il favore dei "populares". Una delle prime
iniziative fu di portare a conoscenza del pubblico quanto avveniva in Senato ed
in tutta l'estensione del dominio romano. Introdusse due mezzi d’informazione
"Acta diurna" e "Acta senatus", gli antesignani delle
odierne Gazzette Ufficiali.
Essi rappresentano, in un certo modo, anche l'origine del giornalismo
perché contenevano notizie relative a morti, nascite, matrimoni, divorzi etc.
Erano pubblicati ogni giorno e si può comprendere come potessero interessare e
compiacere il popolo. Presentò poi una legge di riforma agraria che prevedeva,
anche mediante l’esproprio forzato, la distribuzione di terra ai più poveri
proletari urbani che avessero almeno tre figli. Il Senato si oppose
decisamente, ma la legge fu approvata dall’Assemblea popolare. Cesare aveva
vinto il primo braccio di ferro con il Senato!
Ma questo supremo organo dello Stato romano cercò di rifarsi subito.
Era tradizione che dopo l'anno di servizio, ai Consoli non più in carica fosse
assegnata una Propretura. Il Senato ipotizzò di affidargli quella competente
per il demanio, i parchi e le foreste. Ma, grazie al suo operato, non solo ebbe
l’incarico di comando più prestigioso: il governatorato della Gallia Cisalpina
e dell'Illiria[1] con tre
Legioni, ma fu anche deciso che il suo mandato sarebbe durato cinque anni
invece che uno solo.
Successivamente gli fu assegnata anche la Gallia Narbonese. Era questa
la provincia per antonomasia da cui il successivo nome di Provenza.
La fase del
condottiero militare (58-45)
La regione di cui era Governatore controllava il lato settentrionale
della potenza romana. Una regione a contatto con tribù turbolenti, come i
Galli, i Germani ed i Belgi. Era la stessa frontiera settentrionale da cui,
secoli prima, erano transitati quei Galli giunti quasi alla conquista del
Campidoglio.
Le turbolenti provincie gli dettero l'occasione di mettere in luce le
sue capacità di condottiero militare con una serie di otto campagne che si
protrarranno per nove anni.
Nei successivi quattro anni sarà impegnato nella guerra civile contro
Pompeo.
Richiederebbe troppo spazio un’analisi dettagliata delle singole
campagne. Spigolando quà e là saranno riportati i tratti salienti della sua
arte militare ed i principali eventi.
Splendido fu il rapporto con i suoi Soldati. Ancora oggi può essere
considerato il perfetto esempio di governo del personale e di arte del comando.
Primaria importanza avevano la forma e l’esempio. Curava in modo
particolare l'abbigliamento militare perché considerava l'eleganza come un
vessillo ed un messaggio di potere. Anche alla sua truppa imponeva armature
finemente cesellate. Si può pensare, con i termini d’oggi, che era un perfetto
formalista, ma con ripetuti comportamenti, anche in situazioni difficili,
dimostrò come sotto quei formalismi ci fosse anche sostanza. E quanta sostanza!
Questo formalismo, nelle circostanze importanti, fu esaltato anche dal valore
dell’esempio. Come quando, durante la battaglia di Bibracte, Cesare rinunciò ad
utilizzare il cavallo ed impose altrettanto ai suoi Tribuni, convinto che
Soldati ed Ufficiali dovessero essere eguali nel pericolo.
Parlava sempre con i suoi Soldati prima di una battaglia o di un evento
importante. Lo faceva per esaltarne lo spirito e per spiegare dettagliatamente
lo svolgimento dell’imminente lotta. Anche in occasione della grave decisione
di iniziare la guerra civile contro Pompeo, si determinò all’impresa solo dopo
“aver conosciuto la volontà dei Soldati”.
Con i suoi uomini fu generoso, ma da loro pretese molto. Ne raccolse la
fedeltà e la devozione in lunghi anni di serrato impegno. I suoi famosi Veterani
marciavano e brontolavano. Come fanno tutti i bravi e disciplinati Soldati.
Come faranno i “grognards” di Napoleone. Quanta differenza fra lui ed il suo
nemico, il “Magno” Generale Pompeo, che viveva in un distaccato olimpo
aristocratico che gli faceva perdere ogni contatto con la realtà.
La vita dei suoi uomini gli fu sempre cara, pur trascinandoli in
imprese eroiche, disperate e rischiose. Affermò: “E’ dovere di un Capo vincere
non meno col senno che con la spada”. Impressiona la limitata entità delle sue
perdite anche nelle battaglie più difficili. A Farsalo, la sua vittoria più
amara, ebbe 200 morti a fronte dei 15.000 morti e 24.000 prigionieri delle
truppe pompeane. A Munda, in Spagna, la sua ultima vittoria, ebbe 1000 morti a
fronte dei 30.000 caduti pompeani.
Altra sua caratteristica primaria fu la velocità di pensiero e
d’azione, assolutamente sorprendenti. Ciò, unitamente alla costante ricerca
della sorpresa, disorientò tutti i suoi avversari. In un periodo in cui le
guerre si svolgevano, prevalentemente, di giorno e, sicuramente, nella bella
stagione, si mosse più volte in pieno inverno per attraversare il Mediterraneo,
le Alpi innevate, il Canale della Manica. In qualche caso, come a Munda, in
Spagna, fu addosso all’avversario prima ancora che questi venisse a conoscenza
della sua partenza da Roma.
Alla costante ricerca della sorpresa, si accoppiò la sua capacità
d’inventiva. Come quella delle lunghe falci con cui i Soldati romani tagliarono
le vele delle navi dei Veneti (tribù della Bretagna) per immobilizzarle ed
assaltarle.
Aveva poi un intuito ed un colpo d’occhio particolari nell’individuare
il punto focale per l’applicazione dello sforzo. Tentò sempre di trascinare
l’avversario nel luogo da lui prescelto. Fu questa la trappola che scattò con
Vercingetorige quando, dopo la ritirata di Gergovia, lo portò a rinchiudersi in
Alesia. E con lo stesso intendimento, dopo aver abbandonato l’assedio di
Durazzo, si fece inseguire da Pompeo fino alla piana di Farsalo ove lo
annientò.
E' ricorrente nella concezione cesariana della guerra, l’individuazione
dell'obiettivo strategico nella distruzione delle forze avversarie piuttosto
che con la conquista del territorio. Questa ultima può essere conveniente solo
nel caso di azioni a finalità dimostrative. In tal senso vanno lette le sue due
spedizioni in Britannia e le due incursioni al di là del Reno.
Sua preoccupazione costante fu poi l’addestramento. Il Legionario
romano doveva essere un formidabile camminatore ed un eccezionale zappatore.
Solo così furono possibili movimenti a velocità doppia rispetto all’avversario
e lavori di fortificazione campale che assomigliano ad opere d’ingegneria
militare.
I Pontieri dovrebbero considerarlo socio d’onore della loro specialità.
Fu il primo a gettare un ponte di legno fisso sul Reno, opera mai tentata in
precedenza. Fu una realizzazione immane, completata in soli 10 giorni. Era
lungo oltre mezzo chilometro e spaventò i Germani convincendoli che la potenza
di Roma era tale da superare anche il grande fiume. Quando non poteva gittare
ponti, deviava il corso di fiumi o scavava canali per ridurre il livello delle
acque e rendere possibile il guado.
Anche i Marinai dovrebbero riservargli un posto d’onore. Fu il primo
romano a condurre una battaglia navale nell’Atlantico e fu il primo a condurre
una flotta oltre il Canale della Manica per un’azione deterrente nei riguardi
di tribù della Britannia.
Cesare fu poi moderno anche
per l’estrema importanza da lui attribuita alla propaganda ed all’immagine.
Durante le sue campagne, nelle brevi e convulse soste, riusciva a scrivere od a
dettare ad un suo liberto il resoconto delle operazioni che poi faceva giungere
rapidamente a Roma. Talchè i suoi Commentari costituivano, in un certo senso,
la "cronaca in diretta" di quegli eventi. In pratica, fu il primo
corrispondente di guerra, il corrispondente della "sua" guerra.
Infine, stupisce, nelle
battaglie di Cesare, la sua quasi costante inferiorità numerica.
Le vittorie trovano spiegazione nell'estro e nella capacità del grande Condottiero.
In gran parte, anche se non sempre, sarà così per Napoleone.
Cesare trova sempre, nella
fertile fantasia, nell’ingegnosità dei lavori di zappatore e di pontiere, nel
colpo d'occhio da sagace schermidore, nel fascino di suscitatore di entusiasmi,
la chiave per vincere.
Fra le numerose battaglie combattute meritano una breve descrizione
Alesia, la vittoria più bella, e Farsalo, la vittoria più amara.
La battaglia di Alesia si svolse nel 52 durante le campagne di Gallia.
Era stata preceduta dal fallito assedio di Gergovia in cui Cesare, per la prima
ed unica volta, fece l’errore di dividere l’esercito in due parti.
La Lega antiromana contava 300.000 unità ed era guidata da
Vercingetorige. Questi, imbaldanzito dal successo di Gergovia, abbandonò la
tecnica della guerriglia e cercò uno scontro campale. Era quello cui aspirava
lo stesso Cesare ed, infatti, lo scontro si concluse ancora una volta a favore
dei romani, che misero in fuga Vercingetorige. Questi (come aveva ipotizzato
Cesare) si rifugiò nella vicina città fortificata di Alesia, convinto di
potervi ripetere la performance di Gergovia.
Nella conquista di quella roccaforte dall'apparenza inespugnabile si
rivelerà, invece, la genialità militare di Cesare che vi impiegò una nuova
strategia, circondando la città con due colossali anelli di controvallazione e
di circonvallazione, lunghi ciascuno circa 20 Km., distanti da loro 200 metri,
preceduti da più ordini di trappole, con torri ogni 30 metri e 23 ridotte
fortificate. Fu addirittura deviato il corso di un fiume per farlo passare
all'interno di una delle trincee ed assicurarsi l'acqua per i Legionari.
Si realizzava così un doppio fronte, uno rivolto all'assedio della
città e l'altro destinato a resistere agli attacchi esterni. Il tutto fu
completato in 40 giorni sotto i continui attacchi nemici. In questa gigantesca
opera di fortificazione campale trovarono sistemazione 75.000 legionari e 6.000
cavalieri.
I due anelli erano raccordati da bretelle di collegamento per
manovrarvi adeguatamente le forze. Trovava così piena attuazione il principio
della manovra (per linee interne) anche in un’azione prevalentemente statica
come un assedio.
Per alleggerire la pressione Vercingetorige tentò varie sortite.
Giunsero anche soccorsi dall'esterno di grande consistenza, pari a circa
250.000 uomini. Vercingetorige tentò più volte attacchi congiunti (dall'esterno
e dall'interno) contro i romani. Ma Cesare muoveva i suoi uomini con perfetto
tempismo sfruttando l'ingegnoso lavoro realizzato con un senso topografico di rara
lucidità e perspicacia.
Alla fine Vercingetorige dovette arrendersi.
Dalle vittorie di Cesare cominciava anche la romanizzazione della
Gallia. La Francia deve a Roma ed a Cesare non solo il suo ingresso nell'orbita
della civiltà mediterranea, ma anche la salvezza e la conservazione di quegli
elementi celtici che Roma rispettò. Si trattava di una grande opera che doveva
dare all'Europa occidentale l’indelebile impronta latina e determinarne per
secoli il pensiero e l'azione.
La battaglia di Farsalo ebbe luogo nel 48, nel quadro della guerra
civile. Per questo fu la vittoria più amara. Ancora una volta, la brillante
vittoria seguiva ad una sconfitta. Cesare aveva assediato le forze pompeane
rinchiuse a Durazzo, ma queste erano riuscite a rompere l’assedio. Anche in
questo caso, Cesare si fece inseguire fino a raggiungere il punto prescelto per
la decisione finale.
Aveva 22.000 fanti e 1000
cavalieri. Pompeo aveva 45.000 fanti e 7000 cavalieri.
Il rapporto di forze era di
due a uno per i fanti e sette a uno per i cavalieri, tutto a favore di Pompeo.
Cesare capì subito che
Pompeo avrebbe sfruttato la sua superiorità in termini di Cavalleria ed inventò
uno schieramento assolutamente nuovo. Per contrastare il prevedibile attacco
della Cavalleria avversaria schierò non solo i suoi mille Cavalieri, ma
mescolati ad essi inserì centinaia di fanti e, cosa più importante, schierò sei
coorti scelte (circa 3000 uomini) per impedire l'avvolgimento della Cavalleria
nemica.
Lo sviluppo della battaglia
fu esattamente quello ipotizzato di Cesare. Dopo lo scontro delle masse di
fanteria centrali, la Cavalleria di Pompeo tentò l'aggiramento d'ala. Ma qui si
scontrò con la poca Cavalleria romana e con lo schieramento delle coorti. Le
Coorti resistettero egregiamente e la Cavalleria romana passò al contrattacco.
La Cavalleria pompeiana fu messa in fuga e le stesse sei coorti potevano girare
ed assalire alla spalle la fanteria di Pompeo. Cominciò allora lo sbandamento e
la fuga disordinata. Pompeo fuggì. Grazie alla manovra brillantemente ideata ed
eccellentemente eseguita, Cesare ebbe solo 200 morti, mentre 15.000 furono
quelli delle Truppe pompeiane 24.000 furono i prigionieri. In poche ore di
combattimento l'esercito di Pompeo si era dissolto.
Munda, in Spagna, fu la sua
ultima battaglia. Avvenne nel 45. Il fato aveva voluto che ciò avvenisse a poca
distanza da Cadice, la città in cui 24 anni prima aveva pianto davanti alla
statua di Alessandro il Grande ed aveva giurato di cambiare vita. La promessa
era stata mantenuta!
Durante i quattro anni della
guerra civile (49-45) Cesare, pur essendo impegnato quasi costantemente in
attività bellica, dovette, comunque, provvedere alla cura dello Stato. In
questi quattro anni fu a Roma soltanto due o tre volte, per periodi non
superiori ai 10-15 giorni, adottando provvedimenti di grande importanza..
Fu estesa la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina. Per la prima
volta, tutti gli abitanti della Penisola avevano un comune vincolo giuridico.
Questo può portare ad affermare che Cesare sia stato non solo un grande romano,
ma anche il primo italiano.
Attuò una serie di
provvedimenti riordinativi fra cui quello relativo al Senato i cui componenti
furono aumentati inserendovi anche uomini provenienti dalla Gallia e dalla
Spagna. Fu questa una misura che denotava come Cesare, in anticipo rispetto a
tutti, cominciava ad intravedere la missione internazionale e imperialistica
dell'Urbe.
La situazione economica e
sociale richiedeva interventi strutturali. Roma distribuiva gratuitamente
razioni di grano ad una determinata massa di cittadini nullatenenti e
fannulloni. Si contavano in 360.000 quelli che usufruivano di queste
"frumentationes". Cesare fece fare accertamenti ed emerse che non
tutti ne avevano bisogno (come si vede anche allora vi erano "pensioni
false"). Il numero delle persone inserite nelle liste frumentarie scese a
150.000.
Per liberare la Capitale
dalla presenza di una larga quantità di poveri, assegnò loro lotti di terreno
nelle provincie conquistate.
Cercò di frenare la
cupidigia dei governatori delle provincie limitando la durata dell'incarico a
due anni.
Promosse l'incremento delle
nascite dando premi alle famiglie numerose.
Due provvedimenti svelavano
la natura del nuovo ordine cesariano: la confisca totale dei beni di chiunque
attentasse alla sicurezza dello Stato e l'abolizione delle associazioni a
sfondo politico.
Segno di grande apertura
verso il nuovo furono le direttive impartite nell'attività amministrativa che
tendevano alla equiparazione dei diritti fra cittadini romani e provinciali
abbandonando i vecchi criteri repubblicani che riservavano i maggiori diritti
ad una ristretta minoranza. Mirava, così, a porre su larghissime basi le
fondamenta del nuovo Stato. L'edificio politico repubblicano romano si era
realizzato e consolidato all'insegna del "divide et impera". La nuova
impostazione imperiale cesariana rovesciava invece questo concetto:
"unire, non dividere" era il nuovo motto cui far riferimento per una
nuova società imperiale.
Cesare varò anche una
riforma del calendario che durerà fino al successivo aggiustamento del 1582 con
Gregorio XIII. Considerava, infatti, anche il calendario come simbolo del
potere. La riforma aveva un fondamento scientifico perché raccordava i cicli
lunari e solari. Il precedente calendario risaliva a Numa Pompilio e prevedeva
355 giorni e l'inserimento (non regolato da norme precise) di un mese
intercalare. Cesare introdusse l'attuale anno di 365 giorni e ne impose
l'adozione in tutti i possedimenti romani, in sostituzione dei tanti e bizzarri
calendari locali.
Non vi è chi non veda il
valore unificante di un tale provvedimento cui si accompagnò anche il riordino
della monetazione.
La coniazione della moneta
d'oro divenne sistematica e non occasionale come in precedenza. Fu fissata una
parità fissa fra la moneta d'oro (aureo) e quella d'argento (denaro). Entrambe
le monete furono imposte nella circolazione in tutto l'Impero, eliminando, a
poco a poco, tutte le altre specie monetarie. La coniazione di pezzi d'argento
era tollerata negli Stati sovrani alleati; quella dell'oro era riservata a
Roma.
Come si può notare anche in
questo Cesare fu un anticipatore dei tempi individuando chiaramente
l'importanza, sia sotto il profilo sociale sia sotto quello economico, della
moneta unica. E' singolare la similitudine non solo funzionale, ma anche
fonetica, fra l'Euro e l'Aureo.
A Cesare dobbiamo anche un
altro provvedimento singolare. Fino a quei tempi i papiri erano arrotolati
intorno a bastoncini d'avorio o di legno ed avevano una lunghezza variabile in relazione
al contenuto, Cesare inaugurò un nuovo metodo che consisteva nello scrivere su
fogli di papiro tutti delle stesse dimensioni, sovrapposti l'uno all'altro e
quindi rilegati. Era nato il libro!
E chi sa se quest’invenzione
non sia stata concepita durante una delle sue numerose campagne quando,
muovendosi a piedi od a cavallo, era seguito da carri su cui erano stipati
all'inverosimile i numerosi papiri in bianco per compilare i suoi Commentari, i
suoi versi, le sue poesie ed altri papiri scritti con opere greche e latine.
Sicuramente i papiri arrotolati dovevano occupare un grande spazio. Forse
proprio l'esigenza di ridurre il volume di quei papiri fece sorgere l'idea di
sistemarli a libro!
Ai primi d’ottobre del 45,
al termine della guerra civile, tornò a Roma e si gettò con fervore febbrile a
realizzare i tanti progetti che affollavano la sua mente.
Un'ansia di realizzare lo
divorava come un presentimento.
Gli rimanevano sei mesi di
vita e furono gli unici in cui dominò davvero incontrastato su Roma. Anche
aumentando le cariche, posizionò i suoi uomini nei posti chiave dello Stato.
Ma la congiura cominciava a
prendere corpo nell'ombra. Pompeiani e repubblicani cominciavano ad influire su
una latente e diffusa ostilità verso il potere assoluto.
Cesare, a differenza di
Napoleone, non era stato sconfitto sul campo di battaglia, ma stava prendendo
corpo il suo vero nemico: quello spirito repubblicano che si era consolidato
nelle difficili situazioni dei cinque secoli precedenti della storia di Roma. E
Cesare, abbagliato dallo splendore della gloria e dei trionfi, stordito dalle
adulazioni e dalle piaggerie, non riuscirà a vedere quel piccolo cancro nero
che crescerà, in pochi mesi, con la velocità di un bubbone.
Ebbe anche il titolo di
Imperatore, ma non nel senso pieno come sarà poi per Augusto, ma soltanto a
maggiore sottolineatura delle sue gloriose azioni di guerra.
Il nome stesso di Cesare
diventerà sinonimo di potestà imperiale. Ad esso risalgono etimologicamente successive
denominazioni come Kaiser e Czar. Così come fu sempre indicata con il nome di
"cesarismo" qualunque monarchia non legittima sostenuta dalle armi e
dal popolo.
Il potere personale di
Cesare urtava profondamente col migliore spirito repubblicano, con quello
spirito che sebbene quasi scomparso in una repubblica moribonda, avvicinava,
comunque, fortemente coscienze ed idee.
Cesare, che durante tutta la
sua azione politica non si era distaccato dagli ideali della democrazia, ora
cominciava a comportarsi da sovrano assoluto. Ciò urtava sempre più coloro per
i quali non poteva essere accettata una forma di governo di uno solo.
Questi sentimenti di
intransigenza trovavano nuovi stimoli in avvenimenti quotidiani sgradevoli e
mortificanti. La generosità e la signorile umanità che un tempo erano tratti
caratteristici della sua personalità, la sua nobile amabilità avevano lasciato
il posto all'irascibilità, alla vanagloria, alla sgarberia.
Forse le tare epilettiche,
latenti negli anni precedenti, si erano fatte più gravi.
Cesare era anche impegnato
nella messa a punto di una nuova impresa bellica. Era un progetto grandioso,
superiore ad ogni immaginazione ed oscurava anche la fertile fantasia di
Alessandro. Si proponeva di marciare contro i Parti e vendicare la sconfitta di
Carre in cui aveva trovato la morte Crasso. Vinti i Parti, attraverso il
Caucaso avrebbe raggiunto, da Oriente, i territori dei Germani per
sottometterli definitivamente. Una manovra grandiosa per spazi dell'ordine
delle decine di migliaia di chilometri che avrebbe oscurato le gesta di
Alessandro. Sostanzialmente è la stessa manovra che, in senso inverso, tenterà
Hitler nella seconda guerra mondiale con l’invasione della Russia.
Si era giunti alle Idi di
marzo del 44. Durante una riunione del Senato un gruppo di congiurati lo
ammazzò con 23 pugnalate. Morì, per ironia del destino, sotto la statua di
Pompeo, l'uomo che più di ogni altro aveva attraversato la sua vita.
Ma il grande obiettivo
politico, l'opera di cui il dittatore aveva gettato le basi lungi dal perire
con il suo ideatore, si realizzerà con l'uomo che egli stesso aveva designato a
succedergli: Ottaviano Augusto. Lo aveva indicato quale suo erede anche se era
giovanissimo. Vedeva in quel giovane, fragile e malaticcio, doti eccezionali
che erano sfuggite a tutti. Così come Silla aveva visto nello sguardo di Cesare
il futuro dittatore, così questi riuscì a vedere nello sguardo di Augusto il
futuro Imperatore.
Fu ucciso con l’accusa di
essere un dittatore. Vi era giunto dopo 55 anni di lotte politiche e militari e
non lo era ancora diventato definitivamente. Quanta differenza con il nipote e
successore Augusto che giungerà al potere in brevissimo tempo, da giovanissimo,
e saprà mantenerlo, senza scrupoli e con avvedutezza, per 44 anni. Cesare,
dittatore abortito, muore con 23 pugnalate. Augusto, che fu veramente
Imperatore, quasi facendo in modo che i Romani non se ne accorgessero, morirà,
invece, di vecchiaia nella sua quiete villa di campagna. L’Impero avviato da
Cesare e realizzato da Augusto sopravviverà per 5 secoli in Occidente e 14
secoli in Oriente. In questo Cesare superava Alessandro.
Alle Idi di marzo del 44 si
chiudeva la sua vicenda umana. Con la migliore sceneggiatura che la Storia
abbia mai scritto a sottolineare la grandezza e la caducità della vita. Una
vita, comunque, da gigante!
[1] La Gallia Cisalpina equivaleva all'Italia Settentrionale, comprendendo tutta l'opulenta vallata del Po.